di Federica Bocchieri
L’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA) ha già avuto e continuerà ad avere impatti significativi su diversi aspetti della vita umana, quelli su cui vorrei focalizzarmi sono gli impatti psicologici:
1. Cambiamenti nella percezione di sé e dell’altro
Confrontarsi con le macchine in termini di intelligenza, produttività o capacità decisionale può dare luogo a sentimenti di inadeguatezza e svalutazione
2. Dipendenza da sistemi intelligenti
L’uso costante di assistenti virtuali, chatbot e raccomandazioni automatizzate può portare a una ridotta autonomia decisionale e favorire una forma di passività cognitiva, in cui l’utente delega quasi tutto all’IA.
3. Isolamento sociale e relazioni artificiali
L’interazione frequente con IA conversazionali può ridurre il bisogno di relazioni umane autentiche, portando a isolamento sociale, soprattutto in individui già vulnerabili, questo sollevando interrogativi sulla possibilità di sperimentare un’ autenticità emotiva.
4. Ansia lavorativa e stress
La sostituzione dell’uomo in alcune professioni da parte dell’IA genera ansia da disoccupazione, insicurezza economica e perdita di status sociale.
Questo impatta la salute mentale, aumentando stress, burnout e sintomi depressivi.
5. Effetti sull’apprendimento e sull’attenzione
Gli strumenti IA che “semplificano” i compiti (riassunti automatici, risposte precompilate, ecc.) possono alterare la capacità di concentrazione e ridurre lo sforzo cognitivo, influenzando negativamente l’apprendimento, soprattutto nei giovani.
Per questo è cruciale promuovere l’uso consapevole e critico dell’IA, non la dipendenza cieca.
L’aumento dell’uso quotidiano dell’intelligenza artificiale ci porta a chiederci se l’IA possa renderci dipendenti e quali possano essere gli effetti psicologici di questa crescente interazione con sistemi intelligenti
I maggiori rischi riguardano l’istaurarsi di passività cognitiva e dipendenza psicologica associati all’uso diffuso dell’intelligenza artificiale
Quando parliamo di “dipendenza da IA” non ci riferiamo a una dipendenza fisica o chimica, ma a una dipendenza funzionale e cognitiva: la tendenza a delegare sempre più attività mentali quali decisioni, ragionamenti e scelte a sistemi automatizzati. Lo sforzo mentale viene ridotto e la delega all’IA rischia di diventare totale e riguardare anche i compiti più semplici.
Ad essere più esposti a questa dinamica sono gli adolescenti e i giovani adulti, nativi digitali, per cui l’utilizzo di IA sembra essere la prima se non l’unica soluzione disponibile per assolvere ad un compito anche se semplice e quotidiano. Il rischio è quello di compromettere l’attivazione delle risorse personali e la consapevolezza stessa di possederne. Il pensiero critico e la creatività vengono ridotte nell’abitudine e assuefazione alla risposta “pronta” e automatica che non rende necessario elaborare attivamente soluzioni.
L’IA è uno strumento potente, e come ogni strumento può essere usato per potenziare oppure depotenziare le capacità umane. Senz’altro è possibile individuare buone pratiche per rendere l’IA una risorsa più che un limite: alternare l’uso dell’IA con attività che richiedano pensiero autonomo (scrittura, dibattito, studio critico), usare l’IA come supporto e non come sostituto nei processi decisionali o nell’apprendimento. Tuttavia mi è capitato, nella pratica clinica, di osservare soprattutto nei più giovani, quella che sembra essere una totale inconsapevolezza della modalità con cui si approcciano a tali sistemi. Diversamente dalle generazioni precedenti sperimentano un senso di impotenza e impossibilità quando sprovvisti di questi mezzi.
L’uso eccessivo dell’IA rischia di appiattire la nostra autonomia cognitiva, proprio mentre il mondo richiede menti più critiche, creative e flessibili. La sfida sarà quindi educare a un uso consapevole, che potenzi anziché sostituire la mente umana.
Non è l’IA a decidere per noi — siamo noi a decidere quanto delegare.