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Il viaggio di Marco Cavallo, simbolo della chiusura dei manicomi, è un modo per sensibilizzare la politica e la cittadinanza di fronte allo scempio di queste strutture. Tuttavia, la problematica rivelata dalla commissione d’inchiesta parlamentare sugli OPG, ossia sulle condizioni di tremendo degrado igienico ed assistenziale, non si risolve con la semplice costruzione di nuovi mini OPG.
Infatti, a nostro avviso gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono sbagliati da un punto di vista concettuale e rappresentano una risposta operativa sbagliata dello Stato nei confronti dei cittadini con disagio mentale che commettono reato. Per tale motivo la costruzione di nuovi miniOPG perpetua e in un certo senso fortifica un approccio sbagliato e pericoloso per i cittadini e la società, un approccio che amplifica l’insicurezza sociale invece di gestirla e aumenta il disagio individuale.
Se una persona commette reato, deve pagare per il reato commesso: se soffre di un disagio mentale, deve essere curata per il disagio mentale.
I due piani non devono essere sovrapposti e la psichiatria, come pratica medica, deve pensare alla cura e non alla custodia della persona. La psichiatria non è in grado da sè di gestire la custodia: la custodia deve rimanere competenza del personale penitenziario.
Altrimenti si assiste a eventi e fenomeni devastanti.
Come gli ergastoli bianchi: persone che rimangono sotto custodia per un tempo determinato non dalla pena legata al loro reato, ma perché ritenute ‘pazze e pericolose’, senza che di fatto siano curate in modo adeguato, ma semplicemente contenute, legate e imbottite di farmaci. Non viene concesso a loro un vero percorso di cura, che riconnetta la persona agli atti da essa compiuti, mantenendo i loro diritti e doveri. Accade così che per un furto di 7mila lire si rimanga chiusi dentro queste strutture per più di 18 anni!
Come ‘l’incapacità di intendere e volere’: persone che per essere state giudicate ‘matte’ escono dal carcere un mese dopo aver commesso reati gravissimi. Ovvero la psichiatria si assume un compito improprio: valutando la persona attraverso delle perizie, toglie il reato alla persona e l’attribuisce esclusivamente alla malattia. La diagnosi psichiatrica diviene, così, uno strumento in grado di togliere la pena e non uno strumento operativo utile a indicare i possibili percorsi di cura.
Bisogna ricordare che la legge punisce il reato e non la persona.
Nel momento in cui i due piani si intrecciano (quello giudiziario e quello psichiatrico), la psichiatria perde il suo obiettivo principale, la cura, e diviene uno strumento di controllo e custodia non curando il disagio della persona, ma gestendolo (spesso in malo modo e con metodi vicini alla tortura) con personale insufficente e non debitamente formato, e di conseguenza, amplificando e cronicizzando il disagio e contribuendo di fatto alla sua attuale pericolosità e follia.
La psichiatria deve curare il disagio (obiettivo sanitario) per consentire alla persona di pagare per il reato commesso (obiettivo giuridico). Espiata la pena, la cura si pone l’obiettivo di reintegrare socialmente tali persone.
Le persone con disagio mentale devono avere uguali diritti e doveri di fronte alla legge: non deve essere negata loro la responsabilità dei gesti che compiono.
Serve quindi una nuova integrazione, una nuova sintesi operativa tra apparato penitenziario e apparato psichiatrico: Servizi Psichiatri all’interno delle carceri, periodi al di fuori delle carceri per gestire le crisi troppo forti, riabilitazione e reinserimento della persona nel momento in cui la pena viene scontata.
Edgardo Reali
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