Ecuador: le cliniche per guarire l’omosessualità con la violenza

Rinchiusi in centri psichiatrici e sottoposti a violenze e abusi sessuali. È questo il triste scenario denunciato dalle organizzazioni di difesa dei diritti gay in Ecuador che ogni settimana ricevono una media di due segnalazioni di persone ricoverate con la forza, spesso per volontà dei loro familiari, in cliniche che offrono trattamenti per la ‘cura’ dell’omosessualità. Mentre in Uganda il deputato David Bahati, che qualche anno fa aveva messo in cantiere una proposta di legge che avrebbe dovuto punire i “colpevoli” di omosessualità con la pena di morte, ha annunciato di aver ritirato il progetto, in Ecuador la realtà gay è ancora punita con violenza.

Questa agghiacciante pratica costituisce un’attività illegale nel Paese sudamericano e gli attivisti hanno chiesto la chiusura delle numerose strutture (ce ne sarebbero almeno 226 in tutto il territorio). Alcune si trovano nei grandi centri, ma la maggior parte ha la propria sede in campagna, lontana dallo sguardo della società. Il 25% ha nomi religiosi, e il costo per un mese di ricovero può oscillare tra i 200 ed i 1200 dollari. I collettivi Taller de Comunicacion Mujer e Artikulacion Esporadika, tra i più attivi nella battaglia per la chiusura di questi centri, hanno segnalato un centinaio di casi solo negli ultimi sette mesi e hanno rafforzato le loro denunce con le testimonianze delle vittime. In queste cliniche, che dietro ad insegne spirituali e statuti religiosi promettono di “curare” dall’omosessualità con una moderna profilassi di bastonate e docce fredde, si prescrivono al paziente insulti e stupri collettivi, nonchè si garantisce alla famiglia che paga le torture al figlio, una felice vita etero e magari presto anche un bel matrimonio.

«Mi hanno portato via di casa che avevo 24 anni. Sono arrivati di notte, mi hanno ammanettata, picchiata e imprigionata», dice Paola Concha, una ragazza oggi 29enne, passata per l’inferno dei lavaggi del cervello sommari di uno di questi posti, in cui è entrata da lesbica per volontà paterna e ne è uscita ancora lesbica per volontà propria, dopo essere stata trattata per un anno e mezzo con la medicina dell’insulto, ammanettata ad un cesso di cui si servivano gli altri 60 pazienti e dentro al quale le facevano tenere la faccia per il resto del tempo; stuprata dai guardiani che si prendevano gioco di lei e infine riportata ogni volta all’incubo della realtà con delle docce gelate. Nel 2011 il Ministero ha già chiuso circa 30 cliniche clandestine, sostiene uno dei portavoce della Vance e aggiunge che la Costituzione proibisce questo genere di pratiche, per questo si sta investigando su tutti gli altri casi sospetti, con l’accusa di violazione dei diritti umani. Lo Stato sta facendo, ma quel che fa non basta, perchè mentre il ministero indaga, dopo aver fatto orecchie da mercante per 10 anni sulle denunce analoghe a quelle di Paola Concha, ci sono ancora almeno altri mille e duecento pazienti che, secondo Cayetana Salao della Ong Artikulacion Esporadika, vedono le loro famiglie pagare tra i 200 e i 1.200 dollari al mese per farli esorcizzare dai loro gusti sessuali. Già, perchè tragicamente sono spesso i genitori che, inquietati dalla diversità del figlio, prendono accordi segreti con le comunità di recupero, sperando che questa glielo trasformi in un modello convenzionale. Poi, è pur vero che mamma e papà non sanno quasi mai di star consegnando il congiunto alla versione equatoriale dell’inquisizione medievale. Uno dei luoghi in questo accade è Puente a la Vida, una clinica «tra virgolette», come ripete sempre Paola Concha dopo averci passato 18 mesi, che è stata chiusa di recente dalle autorità. Il direttore Luis Zavala ha sostenuto in precedenti dichiarazioni che tra le pareti della sua struttura non si tortura nessuno, semplicemente «si modificano tutti i comportamenti inadeguati di un paziente che sta assumendo un atteggiamento inadeguato». Privazione del sonno, digiuno per giorni, sospensione nella somministrazione d’acqua, umiliazioni pubbliche e botte. Pratiche che, anche se fossero completamente evitate e ci si limitasse ad un’opera di convincimento non invasiva, infrangerebbero comunque il codice etico delle associazioni psichiatriche internazionali, tra cui anche quella italiana, e della scienza in generale, che diffida chiunque ostenti una laurea in medicina dal «prestare qualsiasi genere di terapia riparativa dell’orientamento sessuale». Torture che sono state denunciate da donne coraggiose, ma che ricadono anche sugli uomini, siano essi gay o etero, sui tossicodipendenti, sui malati pscichiatrici e su tutti quelli che un tipo come Zavala ritiene inadeguati, ma che, nonostante tutto e per fortuna, non è mai stato in grado di adeguare.