Le radici dell’Identità; Jaak Panksepp

Autore Antonio Alcaro

Amplificazioni
Jaak Panksepp e le neuroscienze dell’affettività

in Studi Junghiani, vol. 19, n. 1, 2013

 

 Il seguente articolo nasce da un incontro organizzato nella sede dell’AIPA il 27 maggio 2013, durante il quale Stefano Carta ed io avevamo invitato Ja- ak Panksepp per parlare delle sue ricerche sulle basi neurobiologiche dell’af- fettività e sulle implicazioni dei suoi studi per la psicologia clinica e dinami- ca. Nel registrare il notevole interesse dei partecipanti abbiamo pensato di dare un seguito a questo incontro e di riflettere più approfonditamente sulle straordinarie convergenze tra il pensiero di Jung e quello di Panksepp.

Questo articolo , con cui mi propongo di introdurre sinteticamente il lavo- ro di Panksepp, va inteso come un primo passo in questa direzione.

Nel 2002, durante la mia attività di dottorato di ricerca in psicobiologia e psicofarmacologia lessi per caso un articolo di Panksepp. Ebbi la netta sensa- zione di trovarmi di fronte ad un nuovo modo di guardare il cervello e le sue relazioni con la psiche. Non soltanto si trattava di teorie innovative, ma di una vera e propria rivoluzione concettuale, che sottraeva le neuroscienze alla tirannia di un approccio cognitivo-comportamentista ed apriva la strada ad una feconda integrazione tra neuroscienze e psicologia dinamica.

Da allora sono passati più di dieci anni, durante i quali ho avuto l’onore ed il piacere di conoscere Jaak Panksepp, di lavorare con lui negli Stati U- niti e di mantenere, anche ora che sono rientrato in Italia, una collaborazio- ne ed un continuo scambio di idee. La nostra conoscenza personale mi ha permesso inoltre di apprezzare le sue doti umane, oltre che professionali, e di comprendere come il suo acume di ricercatore ed il suo talento teorico siano arricchiti e sostenuti da una straordinaria sensibilità psicologica, dav- vero non comune tra i suoi colleghi neuroscienziati.

Purtroppo, a causa del suo anti-conformismo, Panksepp è stato molto penalizzato nel suo ambiente e le sue ricerche sono state spesso ignorate. Nonostante egli sia il neuroscienziato che più di tutti ha esplorato le basi cerebrali delle emozioni e dell’affettività, altri ricercatori molto meno innovativi, come Joseph LeDoux o anche Antonio Damasio, hanno conosciuto un successo più rapido ed ampio, perché in fondo la loro visione è più con- forme al paradigma neurocognitivista dominante. Ma, come si sa, “il tempo è galantuomo” e la popolarità di Panksepp sta rapidamente diffondendosi sia nel campo delle neuroscienze che nei settori più disparati della scienza e della cultura, primo fra tutti, ovviamente, la psicologia clinica.

A sottolineare i suoi successi, mi basti indicare che Jaak Panksepp è sta- to nominato per il premio Nobel e che il suo ultimo libro, The archeology of mind1, è stato tradotto in molte lingue e sta di recente per venire alla luce anche la sua versione italiana, per la Raffello Cortina.

In questo articolo cercherò di presentare sinteticamente l’opera di Pan- ksepp, cosa non facile data l’immensa mole di scoperte, contributi teorici e traiettorie conoscitive che si aprono a partire dai suoi studi. Nella prima parte proverò a descrivere sommariamente il quadro che emerge dall’insieme delle sue ricerche sperimentali.

Nella seconda parte, invece, affronterò prevalentemente il tema dell’implicazione teorica generale dei lavori di Panksepp, e cioè del modo con cui egli contribuisce allo scardinamento dell’impalcatura neurocogniti- vista. Nell’ultima parte, invece, mi propongo di fare alcune considerazioni circa il rapporto tra il lavoro di Panksepp e la psicologia dinamica, soffer- mandomi in particolare sulla prospettiva junghiana.

Gli studi sperimentali

Il lavoro di ricerca di Panksepp si basa prevalentemente sull’analisi del comportamento e dei processi cerebrali negli animali. Come vedremo, Lla sua attenzione si è concentrata su una parte molto antica e profonda del cer- vello, sede dei comportamenti istintivi e della regolazione omeostatica e vi- scerale, che Paul MacLean aveva indicato come il “cervello rettile2”. Que- sta zona del cervello, posta tra il midollo spinale ed i due emisferi cerberali, viene indicata da Panksepp come l’area del core-Self, perché in essa risiede il nucleo istintuale ed archetipico della personalità individuale.

Non soltanto, infatti, essa è la sede di tutte le funzioni vitali dell’organismo, ma è anche il luogo in cui sono dislocati alcuni circuiti cerebrali re- sponsabili della generazione delle disposizioni emozionali di base e di una forma ancestrale di coscienza affettiva.

Il percorso di Panksepp comincia con gli esperimenti di elettrostimolazione intracranica, sviluppati già all’inizio del secolo scorso e proseguiti poi fino ai nostri giorni. Si tratta di una procedura sperimentale che consiste nell’inserire un microelettrodo in un particolare sito del cervello e nell’os- servare ciò che accade in seguito al passaggio della corrente elettrica.

Panksepp ha scoperto che la stimolazione elettrica nelle aree del core- Self induce molto spesso l’emergere di risposte emozionali integrate3. Ad esempio, stimolando un centro ipotalamico nei gatti si osservano la piloerezione, il trasalimento, l’aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, ed altre risposte caratteristiche della paura.

Grazie alla stimolazione intracranica, a cui si sono poi aggiunte altre te- cniche sperimentali più sofisticate, è stato possibile mappare il cervello de- gli animali ed individuare vari circuiti neurali responsabili delle emozioni di base, che sono stati definiti Sistemi Operativi Emozionali.

Allo stato attuale ne sono stati riconosciuti sette: desiderio-ricerca, pau- ra, rabbia, bramosia sessuale, panico da separazione, amore-accudimento e gioia-gioco. I primi quattro di questi sistemi emozionali sono presenti an- che nel cervello dei rettili mentre gli ultimi tre, che riguardano emozioni sociali, sono stati individuati con certezza solo nel cervello dei mammiferi.

Dall’insieme dei dati sperimentali viene fuori che, almeno per quanto riguarda il cervello dei mammiferi, l’organizzazione dei Sistemi Operativi Emozionali è pressoché la medesima per tutte le specie indagate4. Sebbene alcune risposte emozionali possano attivarsi anche con stimolazioni di aree appartenenti al cosiddetto sistema limbico, tuttavia i siti principali dei Si- stemi Operativi Emozionali sono tutti dislocati all’interno delle aree del core-Self. Inoltre, lesioni del sistema limbico e della corteccia cerebrale possono compromettere alcune forme di apprendimento emozionale, ma non bloccano l’emergere spontaneo delle emozioni, che invece scompaiono solo con lesioni delle aree del core-Self.

Una questione fondamentale che emerge dagli studi di Panksepp è capire se i comportamenti emozionali attivati siano il risultato di semplici automatismi motori, sia somatici che viscerali, oppure se siano legati al cambiamento dello stato soggettivo dell’animale.

Nel tentativo di dare una risposta a tale domanda, Panksepp ha dimo- strato che l’attivazione dei Sistema Operativi Emozionali, sia per via elet- trica che per via chimica, agisce sempre come rinforzo positivo o negativo,influenzando la valutazione che l’animale fa dell’ambiente esterno5. In par- ticolare, se vengono stimolati i centri della rabbia, della paura e del panico da separazione, gli animali tendono ad evitare tutte le condizioni ambientali che sono state associate alla stimolazione. Al contrario, invece, se vengono stimolati i centri del desiderio-ricerca, della bramosia sessuale, dell’amore- accudimento e della gioia-gioco, gli animali tendono a ripetere questo tipo di esperienze. Pertanto, le emozioni di base costituiscono i principali siste- mi di valore in grado di orientare l’apprendimento ed il comportamento futuro.

Gli effetti della stimolazione sull’apprendimento indicano che l’attiva- zione dei Sistemi Emozionali produce un cambiamento nello stato interno, piacevole o spiacevole, che viene poi associato a determinati stimoli am- bientali.

D’altronde, gli esperimenti di elettrostimolazione condotti nell’uomo6 avevano già dimostrato che, quando viene stimolato un Sistema Emoziona- le, i soggetti descrivono la comparsa di stati affettivi positivi o negativi7. Ad esempio, un paziente stimolato nella zona dorsale dell’area grigia pe- riacqueduttale, dove risiedono i centri della paura, esclamava di essere e “spaventato a morte”.

Per riassumere, quindi, gli studi di Panksepp, mostrano che l’attivazione dei Sistemi Operativi Emozionali nelle aree del core-Self sono responsabili di una forma embrionale di coscienza affettiva, comune all’uomo ed agli animali. Si tratta di una coscienza pre-rappresentazionale, in cui non è an- cora presente alcuna immagine oggettuale, ma grazie alla quale l’organi- smo percepisce il suo stato emozionale che è anche il principale strumento di orientamento nel mondo8.

La protocoscienza affettiva elaborata nelle aree del core-Self non è sol- tanto la prima forma di coscienza, ma costituisce la condizione necessaria per ogni possibile forma di rappresentazione cosciente, orientando apriori- sticamente la coscienza lungo determinate direzioni di senso9. Panksepp la definisce una coscienza “nomotetica” (dal greco nòmos = legge, e tithénai = porre, stabilire), cioè che pone le fondamenta generali, distinguendola dalla coscienza “idiografica” (dal greco idìos = particolare e gràphein = scrivere) che invece assume su di sé degli oggetti o delle rappresentazioni specifiche.

L’importanza del core-Self per la coscienza affettiva è testimoniata dagli studi con i bambini anencefalici, cioè nati completamente privi di corteccia cerebrale. Nonostante la mancanza della corteccia e di ampie regioni del si- stema limbico, tali bambini possiedono una evidente emotività ed una ca- pacità rudimentale di interazione empatica10. Possono ridere o piangere, e mostrano una certa preferenza o avversione per determinati tipi di stimoli11. Al contrario, lesioni delle aree del core-Self producono il coma cerebrale e la cessazione di qualsiasi attività psichica e intenzionale12.

A partire dalla originaria localizzazione dei Sistemi Emozionali ottenu- ta con gli esperimenti di elettrostimolazione si sono fatti passi da gigante sia per quanto riguarda la caratterizzazione chimica e funzionale di tali cir- cuiti, sia per quanto concerne la relazione tra la loro attività ed un insieme di indici patologici e non patologici della personalità individuale13. È infatti emerso chiaramente che tutte le problematiche psicopatologiche e psichia- triche possono essere legate ad un funzionamento anomalo dei Sistemi E- mozionali e della loro relazione con le strutture cerebrali superiori14.

Uno dei più promettenti orizzonti delle Neuroscienze dell’Affettività consiste poi nella possibilità di individuare degli “endofenotipi emoziona- li”, cioè delle forme dominanti di organizzazione neuroaffettiva che dipen- dono sia da fattori ereditari che appresi15. Devo inoltre ricordare che, di re- cente, lo sviluppo e la validazione in diverse lingue di una scala della personalità emozionale (Affective Neuroscience Personality Scale, ANPS), rende possibile applicare anche agli studi clinici sull’uomo, i principi delle nNeuroscienze dell’aAffettività16.

La prospettiva teorica

Ponendo la dimensione affettiva come centro energetico ed organizzati- vo della psiche, Panksepp sostituisce il “penso dunque sono” di Cartesio con il “sento dunque sono”, colpendo il cuore stesso delle teorie neuroco- gnitiviste dominanti. Inoltre, il suo approccio mette in discussione alcuni principi della metapsicologia freudiana, secondo cui la coscienza si colloca in superficie, cioè nel punto di contatto con il mondo esterno, a livello della percezione, mentre la matrice istintuale e pulsionale sarebbe priva di qualsiasi forma di coscienza e di intenzionalità psichica.

Conviene tuttavia partire dalle neuroscienze cognitive, che costituiscono il più diretto bersaglio delle teorie di Panksepp. Com’è noto, le neuroscien- ze cognitive sono portatrici di una visione duplice e per molti versi contrad- dittoria del rapporto tra mente e cervello. Da un lato, infatti, sostengono un rigido materialismo, battezzato appunto materialismo eliminativo, secondo cui gli stati mentali non sono nient’altro che stati del cervello17. D’altro canto, però, il cervello viene visto come un convertitore di processi fisici in processi formali-astratti, cioè un costruttore di modelli di realtà e un elabo- ratore di informazioni18.

Non soltanto il neuro-cognitivismo ha eliminato la coscienza soggettiva dal terreno di indagine, ma ha ridotto la sfera psichica, che i neurocogniti- visti chiamano mente, ad un insieme di formule e codici astratti in grado di elaborare le informazioni in modo assolutamente inconscio19. Secondo tale prospettiva, l’esperienza agirebbe sul cervello in modo da modificare le re- gole operazionali inscritte nella sua struttura neuroplastica20.

Sebbene nell’ultimo periodo siano proliferati gli studi sperimentali e le teorie neuroscientifiche che prendono come oggetto la coscienza e le emo- zioni, se analizziamo da vicino l’insieme di questi contributi, ci accorgiamo molto spesso che essi si muovono all’interno del paradigma neurocognitivi- sta. Prendiamo, come esempio, i lavori di Josef LeDoux21, che di recente ha stretto una fiorente collaborazione col premio nobel Eric Kandell, studioso di neuroscienze e cultore della psicoanalisi. Sebbene LeDoux dichiari di essere uno studioso delle emozioni, egli in realtà non è che uno studioso dell’apprendimento emozionale. LeDoux non si interessa di cosa sia in realtà un’emozione, intesa come disposizione istintiva all’azione o come stato affettivo, ma semplicemente di come essa possa essere associata ad un de- terminato stimolo o contesto ambientale. A causa di tale scotoma cognitivo- comportamentista, LeDoux localizza la sede delle emozioni in aree limbiche superiori, come l’amigdala o l’ippocampo, che in realtà non sono il luo- go in cui le emozioni vengono generate, ma quello in cui esse vengono as- sociate con determinate condizioni ambientali esterne.

La concezione delle emozioni e della coscienza di Antonio Damasio è certamente più vicina a quella di Panksepp, soprattutto per quanto riguarda l’assoluta centralità che egli attribuisce ai sentimenti emozionali e alla dimensione soggettiva dell’esperienza. Tuttavia, in linea con la tradizione teorica di William James, i sentimenti emozionali vengono considerati il ri- flesso di una rappresentazione neuro-psichica integrata dei cambiamenti corporei, soprattutto viscerali, che sono stati innescati in modo automatico da alcuni centri neuronali22. Le emozioni sono il “sentimento di ciò che è avvenuto nel corpo”23 e la coscienza affettiva non è che il risultato di schemi neuronali dello stato interno dell’organismo. In fondo, dunque, la con- cezione di Damasio continua ad essere legata ad un’ottica puramente cogni- tivistica, in quanto riduce il sentimento ad uno schema cognitivo, o mappa, o rappresentazione.

Al contrario, adottando una prospettiva filosofica nota come monismo dall’aspetto duale24, Panksepp considera i sentimenti affettivi come l’espressione soggettiva e cosciente di un processo intenzionale inconscio che proietta l’organismo fuori da se stesso, in una dimensione di confine tra l’interno e l’esterno. Le emozioni non sono tanto sentimenti di ciò che è accaduto nel corpo, ma piuttosto sentimenti di ciò che sta per succedere o che potrebbe succedere all’interno di un campo che include l’organismo e il suo ambiente. Le emozioni hanno infatti una funzione anticipatoria, e orientano il comportamento lungo particolari direzioni adattative che si sono conservate nel corso dell’evoluzione naturale25. Pertanto, gli affetti sono anzitutto direzioni di senso, anzi sono le direzioni di senso primarie della coscienza.

Mentre i neurocognitivisti considerano il cervello come una centrale che elabora modelli astratti di realtà e sono interessati prevalentemente all’ar- chitettura delle connessioni neuronali ed alla loro plasticità,La prospettiva di Panksepp si è mostrata sin dall’inizioè molto apertao alle nuove teorie neurodinamiche sul cervello26. Egli sottolinea come le emozioni siano anzi- tuttoE’ stato infatti suggerito che le emozioni possano esprimersi come pat- terns neurodinamici di campo, che si sviluppano nelle aree del core-Self e diffondono in tutto il cervello. Questi patterns seguono traiettorie la cui evoluzione tende verso determinati “bacini di attrazione”, che definiscono la direzione della disposizione intenzionale contenuta nell’emozione27. Pertanto,

Nell’ottica di Panksepp, i processi neurodinamici di campo legati ad uno stato o una disposizione emozionale agiscono come dei “demoni interni” che non soltanto muovono l’organismo verso il mondo esterno, ma al contempo vanno a strutturare uno specifico campo della coscienza, condizinando tutto ciò che può essere percepito, immaginato o pensato. Essi sono quanto di più vicino a ciò che Jung ha definito col nome di archetipi.

Panksepp e la psicologia dinamica

Il contributo delle ricerche e degli spunti teorici di Panksepp per la psicologia clinica è enorme. In questa sede posso menzionare solo pochi esempi tra i tanti.

Egli ha individuato alcuni circuiti neurochimici responsabili della relazione di attaccamento, come il sistema dell’ossitocina e quello degli oppiacei endogeni, che fanno parte di due Sistemi Emozionali primari: l’amore- accudimento ed il panico da separazione. Un problema a carico di questi sistemi emozionali, come nell’autismo in cui, a causa di una liberazione ec- cessiva di endorfine, non viene avvertita l’esperienza di separazione dalla madre, si ripercuoterà inevitabilmente sull’evoluzione della relazione di at- taccamento. Pertanto, nonostante l’attuale enfasi degli psicologi contemporanei sull’importanza della relazione madre-bambino per lo sviluppo neuropsichico individuale, l’attaccamento non può essere considerata una funzio- ne motivazionale primaria, ma piuttosto il risultato di un graduale apprendi- mento sostenuto dai Sistemi Emozionali primari.

Dimostrando come la libera espressione del gioco in età infantile sia di fondamentale importanza per lo sviluppo delle aree frontali del cervello, Panksepp ha ipotizzato che il cosiddetto disturbo da deficit d’attenzione e i- perattività (ADHD) sia conseguenza di una ridotta espressione dell’emozione del gioco-gioia, causata da condizioni di vita che non favoriscono l’interazio- ne spontanea ed irruenta tra i bambini. Pertanto, anziché curare il problema con le anfetamine, che inibiscono ulteriormente la spinta al gioco, bisogne- rebbe invece favorire la libera espressione di tale emozione.

Come terzo ed ultimo esempio, vorrei citare l’insieme delle ricerche sul Sistema Emozionale del desiderio-ricerca, grazie a cui è stato possibile de- costruire i concetti cognitivisti di motivazione e ricompensa (reward), mostrando come tutti i processi motivazionali dipendano dall’attivazione di un emozione di base che spinge l’organismo ad orientarsi, esplorare e ricercare attivamente nell’ambiente ciò di cui ha bisogno. L’emozione del desiderio- ricerca è il correlato neuroetologico di ciò che gli psicoanalisti hanno chia- mato “libido”, in quanto essa esprime la disposizione istintuale che rende possibile un investimento affettivo sugli “oggetti” del mondo esterno28. I- noltre, come mostrano gli studi sul sogno, questa emozione si attiva forte- mente anche durante i processi immaginativi, portando all’esplorazione del proprio mondo interno e alla ricerca di stimoli internamente generati.

Negli ultimi quindici anni della sua carriera, Jaak Panksepp è entrato nel movimento della nNeuro-psicoanalisi, fondato da Mark Solms, e ne è di- ventato uno dei principali esponenti. Questo movimento internazionale, che conta tra le sue attività una rivista semestrale e numerosissimi convegni ed incontri in tutto il mondo, ha come obiettivo principale quello di integrare neuroscienze e psicoanalisi, costruendo un terreno di riflessione in cui pos- sano convergere esperienze e teorie cliniche da un lato, e scoperte sul cer- vello dall’altro. Sebbene nel movimento non manchino psicoanalisti ad o- rientamento junghiano, come ad esempio Margaret Wilkinson, tuttavia l’ot- tica freudiana o post-freudiana è di gran lunga dominante all’interno dei circoli di nNeuro-psicoanalisi. Pertanto, le ricerche e le teorie di Panksepp sono state interpretate prevalentemente secondo l’ottica della metapsicolo- gia freudiana, peraltro spesso in modo davvero suggestivo e fecondo.

Tuttavia, come in parte rilevato in un recentissimo articolo dagli stessi Solms e Panksepp29, le nNeuroscienze dell’affettività mettono in seria di- scussione alcuni presupposti della teoria freudiana. In particolare, l’idea che la coscienza e l’intenzionalità siano prerogative esclusive dell’Io, e che dunque la vita psichica abbia luogo esclusivamente all’interno dei suoi con- fini. Le ricerche sul cervello degli animali, infatti, mostrano chiaramente come le disposizioni emozionali costituiscano forme archetipiche di co- scienza intenzionale, che precedono evolutivamente ed ontogeneticamente non soltanto l’organizzazione razionale e linguistica della mente, ma addi- rittura qualsiasi senso di continuità spazio-temporale su cui si fonda il complesso dell’Io.

Come vere e proprie luminositas archetipiche, gli affetti sono il primum movens dello psichismo, nuclei dinamici dotati di vita autonoma, anche se strettamente connessi tra loro. In quanto esperienze prototipiche ereditarie, gli affetti sono parte della struttura istintuale della specie, ma al contempo creano le condizioni per l’emergere di un campo psicologico individuale, dando luogo a stati protocoscienti che diventano il sottofondo su cui dimo- rano le varie rappresentazioni psichiche personali. In tal modo, l’affettività funziona come un ponte che lega la psiche oggettiva a quella soggettiva, e costituisce il fondamento della personalità individuale.

È ovvio che una tale concezione neuroetologica dell’affettività si sposa perfettamente con i principi della psicologia analitica. Difatti, non soltanto Jung aveva più volte sottolineato la stretta analogia esistente tra la nozione psicologica di archetipo e quella etologica di istinto30, ma ponendo una to- nalità affettiva al centro di ogni complesso della personalità, aveva implici- tamente decretato che fosse proprio la dimensione affettiva a fungere da tramite tra l’archetipo in sé e le sue infinite rappresentazioni emergenti nel campo della coscienza personale.

Credo, pertanto, che i tempi siano maturi per avventurarsi in un fecondo territorio di confine, tra nNeuroscienze dell’aAffettività e pPsicologia aA- nalitica, perché il pensiero junghiano “rischia” di rivelarsi molto più scien- tifico di quanto si pensava, man mano che la scienza abbandona il riduzio- nismo meccanicista del secolo scorso, mentre una nuova visione della men- te e della materia comincia a farsi lentamente strada tra i ricercatori più au- daci. Di certo, credo, Jaak Panksepp è uno di questi.

Conclusioni

Come ho già accennato nell’introduzione, quest’articolo vuole essere soltanto il primo passo di un percorso di approfondimento circa i rapporti tra Panksepp e Jung. Mi sembra evidente, infatti, che gli studi di Panksepp gettino nuova luce su alcuni concetti della psicologia analitica, consentendo un loro radicamento all’interno delle ricerche scientifiche contemporanee. Partendo da questa breve presentazione, il mio proposito, condiviso con Stefano Carta, è quello di analizzare alcuni temi fondamentali del pensiero junghiano a partire dai dati sperimentali sul cervello degli animali e dell’uomo. Solo per fare alcuni esempi, credo che potrebbe essere partico- larmente proficuo riflettere sul concetto di psiche transpersonale e di arche- tipo, sulla nozione di Sé, e sul rapporto tra affettività, immaginazione e so- gno. Spero, pertanto, che questa analisi iniziale possa stimolare nuove linee di ricerca e che tali temi riscontrino l’interesse degli studiosi interessati a quellala riflessioni, con l’obbiettivo di favorire quella integrazione dei sa- peri a cui alludeva Jung quando faceva riferimento al concetto di unus mundus.

Riassunto

Jaak Panksepp è il neuroscienziato che più di ogni altro si è avventu- rato nell’indagine delle basi cerebrali delle emozioni di base e dei sentimenti affettivi. I suoi studi mostrano che l’affettività è situata al centro dell’organizzazione neuro-psichica individuale, e che essa co- stituisce il ponte tra la dimensione dell’istintualità archetipica e la psiche personale. Per tale ragione, questi studi consentono un sor- prendente ed imprevisto radicamento delle teorie junghiane all’interno delle neuroscienze contemporanee e costituiscono un’occasione di riflessione per tutti i ricercatori e gli psicologi clinici interessati ad un integrazione dei saperi.

Note

1. J. Panksepp, L. Biven. The Archaeology of Mind: Neuroevolutionary Origins of Human Emotion. New York: W. W. Norton & Company. 2012.

2. Cfr. P.D. MacLean, The triune brain in evolution: role in paleocerebral functions, Plenum, New York 1990.

3. Cfr. J. Panksepp, Affective neuroscience: the foundations of human and animal emo- tions, Oxford University Press, New York 1998.

4. J. Panksepp, Cross-species affective neuroscience decoding of the primal affective experiences of humans and related animals. PLoS One 2011, 6.

5. Panksepp, J. Affective consciousness: Core emotional feelings in animals and hu- mans. Conscious. Cogn. 2005, 14, 30.–80.

6. In tali esperimenti venivano utilizzati dei microelettrodi impiantati per scopi clinici, che sono poi stati utilizzati anche per fini sperimentali.

7. Heath RG (1996) Exploring the mind-body relationship. Baton Rouge: Moran Print- ing, Inc.

8. Panksepp J (2010) Affective consciousness in animals: perspectives on dimensional and primary process emotion approaches. Proceedings of the Royal Society B 277: 2905– 2907.

9. Panksepp, J. The periconscious substrates of consciousness: Affective states and the evolutionary origins of the SELF. J. Conscious. Stud. 1998, 5, 566.–582.

10. Merker B., Consciousness without a cerebral cortex: A challenge for neuroscience and medicine. Behav Brain Sci 2007, 30:63-81.

11. D’altronde, anche negli animali, la rimozione della corteccia cerebrale e delle aree limbiche superiori produce effetti drammatici sull’apprendimento, ma non sulle capacità di interagire spontaneamente nell’ambiente (Panksepp, 2012).

12. Inoltre, i deficit causati dalle lesioni sono tanto più cospicui quanto più in basso è lo- calizzata la lesione. Gli effetti più gravi si hanno con la lesione dell’area grigia periacque- duttale (PAG), che può essere considerato il centro di convergenza ed integrazione di tutti i Sistemi Operativi Emozionali, specialmente relativamente alle emozioni negative. Cfr. Watt DF, Pincus DI, Neural substrates of consciousness: Implications for clinical psychiatry. In Textbook of Biological Psychiatry Edited by: Panksepp J. New York: Wiley; 2004:75-110.

13. J.Panksepp, Textbook of Biological Psychiatry New York: Wiley; 2004.

14. Solo per fare qualche esempio, la depressione sarebbe legata ad una ipoattività del sistema del desiderio-ricerca e ad una iperattività del sistema del panico-angoscia da separa- zione; i sintomi acuti della schizofrenia, da una attività incontrollata del sistema del deside- rio-ricerca a livello sottocorticale; le fobie e le varie forme di angoscia, da una iperattività del sistema della paura, ecc..

15. Panksepp, J. Emotional endophenotypes in evolutionary psychiatry. Prog. Neuro Psychoph. 2006, 30, 774.–784

16. Davis K.L. & Panksepp J. (2011) The brain’s emotional foundations of human per- sonality and the Affective Neuroscience Personality Scales. Neurosci Biobehav Rev., 35 (9):1946-58.

17. D.C. Dennett, Coscienza. Che cos’è, Rizzoli, Milano, 1992.

18. Il filosofo John R. Searle scrive in proposito che, secondo i principi del funzionali- smo cognitivista, gli stati mentali «sono effettivamente stati fisici del cervello, ma sono definiti mentali non per la loro costituzione fisica, ma per le loro relazioni causali». Cfr. J.R. Searle, Il mistero della coscienza, Cortina Editore, Milano, 1998, p. 112.

19. J.E. Kihlstrom, The cognitive unconscious, “Science”, 237, 1987, 1445-1452.

20. R. Montagne, Perché lo hai fatto? Come prendiamo le nostre decisioni. Raffaello Cortina, Milano, 2008.

21. Cfr. J. LeDoux, Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo. Tr. It. Raffaello Cortina, Milano, 2002. J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni. Tr.it. Baldini & Castaldi, Milano, 1999.

22. A. Damasio, Il sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente. Adelphi, Milano, 2012.

23. A. Damasio, Emozioni e Coscienza. Adelphi, Milano, 2000.

24. Il monismo dall’aspetto duale è una posizione filosofica elaborata inizialmente da Baruch Spinosa e recentemente ripresa all’interno del movimento della nNeuro-psicoanalisi. Secondo tale posizione, «l’esperienza soggettiva da un lato e l’insieme dei processi neurali dall’altro sono manifestazioni parallele di un’unica realtà che appare diversa a seconda del punto di vista dell’osservatore. Se il fenomeno viene osservato introspettivamente, in prima persona, esso si manifesta sotto forma di sensazioni ed immagini coscienti, se viene

to oggettivamente, in terza persona, esso appare sotto forma di complesse dinamiche neuro- nali. La realtà soggiacente è però unica, anche se scarsamente accessibile in se stessa, in quanto inconoscibile nella sostanza. Tale realtà soggiacente può forse essere adeguatamente immaginata come processo inconscio: una disposizione di attività che emerge da un territo- rio ignoto, manifestandosi sia soggettivamente che oggettivamente» (Alcaro, 2009. p. 99).

25. Le disposizioni emozionali di base orientano il comportamento lungo alcune dire- zioni privilegiate, senza predeterminare rigidamente la condotta individuale. Ciascuna emo- zione ha una sua specifica finalità adattativa. Il desiderio-ricerca spinge l’organismo a esplo- rare l’ambiente e cercare ciò di cui ha bisogno. La paura spinge l’organismo a evitare un pericolo. La rabbia all’aggressione e distruzione di una fonte di pericolo o frustrazione. Il panico/angoscia da separazione segnala il bisogno di una figura che protegga ed accudisca. L’amore-accudimento spinge a fornire protezione e cure. La bramosia sessuale spinge a- ll’accoppiamento e alla riproduzione. La gioia-gioco spinge all’interazione tra conspecifici, specialmente nei piccoli.

26. Cfr. J.W. Brown, The self-embodying mind. Process, brain dynamics and the con- scious present. Barrytown/Station Hill Press, 2002.

R. Llinas, I of the Vortex: From Neurons to Self. MIT Press, Cambridge, MA. 2001. W.J. Freeman. Come pensa il cervello. Einaudi. Torino. 2000.

27. Ad esempio, per quanto riguarda l’emozione del desiderio-ricerca, alcune iniziali prove sperimentali indicano che tale disposizione emozionale possa essere legata all’emer- gere di ritmi theta nell’ippocampo e di onde gamma nello striato ventrale e nella corteccia prefrontale (Alcaro e Panksepp, 2011). Dal nostro punto di vista, questi ritmi favoriscono l’emergere di sequenze neurodinamiche legate all’esplorazione e alla ricerca attiva nell’am- biente (Alcaro e Panksepp, 2011), e dunque sono il veicolo di una particolare diposizione intenzionale che si manifesta tanto a livello del comportamento che dell’attività mentale. Cfr. A. Alcaro, J. Panksepp, The SEEKING mind: primal neuro-affective substrates for appetitive incentive states and their pathological dynamics in addictions and depression. Neurosci Biobehav Rev. 2011. 35(9), 1805-20.

28. Cfr. M. Solms e O. Turnbull, Il cervello e il mondo interno, Cortina Editore, Milano 2004.

29. M. Solms, J. Panklsepp, The “Id” Knows More than the “Ego ” Admits: Neurop- sychoanalytic andPrimal Consciousness Perspectives on the Interface Between Affective and Cognitive Neuroscience. Brain Science. 2012, 2, 147-175.

30. Egli scrive che l’archetipo indica « una maniera ereditaria di funzionare che corri- sponde al modo con cui un pulcino esce dall’uovo, l’uccello costruisce il nido, […]. In altre parole, è un “pattern di comportamento”. Questo aspetto dell’archetipo, quello puramente biologico, è l’oggetto appropriato della psicologia scientifica» (Jung, CW 18, § 1228). An- che Wolfgang Pauli, il fisico quantistico che ha collaborato con Jung, scrive che il concetto di archetipo rimanda «a una certa continuità che può ammettersi soltanto supponendo che una certa condizione inconscia sia presente quale a priori ereditato. […] Ho chiamato questa possibilità “archetipo”, una proprietà strutturale o una precondizione della psiche collegata in qualche modo all’attività del cervello» ( Pauli, 1964, p. 142).

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L’autore

Antonio Alcaro è psicologo, psicoterapeuta e ricercatore in neuro- scienze. Dopo un dottorato di ricerca in psicobiologia e psicofarma- cologia all’Università “La Sapienza” di Roma, ha trascorso un perio- do di ricerca negli USA, dove ha collaborato attivamente con Jaak Panksepp in progetti teorici e sperimentali. Durante il periodo di permanenza all’estero, è entrato in contatto con il movimento inter- nazionale della neuro-psicoanalisi. Tornato in Italia ha continuato il lavoro di ricerca con Panksepp ed altri neuroscienziati ed ha paralle- lamente conseguito un diploma di specializzazione in psicoterapia ad orientamento Gestalt-Analitico. Ha pubblicato diversi articoli in rivi- ste scientifiche internazionali. Ora esercita la professione di psicote- rapeuta a Roma. E’ membro dell’AIGA (Associazione Italiana Ge- stalt Analitica), in cui riveste il ruolo di commissario della ricerca scientifica.

immagine di Ale Zan