La depressione in gravidanza e nel postpartum

Federica Catalfio

Maternity blues, depressione maggiore non psicotica e psicosi puerile 

Dare vita a una vita sembrerebbe l’evento più naturale al mondo. Tutte le specie si riproducono così, anche noi umani. La gravidanza è stata spesso dipinta come un periodo in cui le emozioni positive, felicità, gioia, trepida attesa, spazzassero via tutte le difficoltà. Spesso anche la scienza ha favorito tali credenze descrivendo questo momento come in grado di “proteggere” la donna dall’eventualità di ammalarsi. Come tutti i grandi eventi però, anche quelli positivi implicano uno stress, un cambiamento e un adattamento alla nuova condizione. L’immagine della gravidanza e della nascita come momento solamente appagante e felice, sebbene possibile, non risulta prototipica e può trovare posto tra i miti. Si è concordi nel considerare la gravidanza e il parto come uno stress unico che produce un cambiamento sotto ogni aspetto (biologico, psicologico e sociale), una “crisi maturativa” come è stata definita da Bibring (1961). 

Indipendentemente dalla nosologia classica, la maggior parte dei ricercatori riconosce il continuum di gravità del disturbo dell’umore nel postpartum secondo la divisione, storicamente condivisa, in tre sottocategorie: maternity blues, depressione maggiore non psicotica e psicosi puerperale. Il maternity blues o baby blues è una condizione comune: è stato stimato che dal 50% fino all’80% delle donne ne soffra (Stein, 1982). È un disturbo lieve e transitorio, caratterizzato da labilità emotiva, tendenza al pianto, irritabilità, ansia, disturbi del sonno e dell’appetito. I sintomi hanno inizio solitamente al terzo o quarto giorno dopo il parto e non richiedono un trattamento specialistico, in quanto la remissione avviene spontaneamente in pochi giorni. Il baby blues va però monitorato, poiché fino al 20% delle donne che lo hanno sperimentato può sviluppare una depressione maggiore(O’Hara et al., 1991). 

All’estremo opposto si colloca la psicosi puerperale, che si presenta più raramente (1 su 500-1000 nascite) ed esordisce nelle prime 72 ore dal parto. È caratterizzata da oscillazioni dell’umore, comportamento disorganizzato, tangenzialità dell’eloquio, allucinazioni e deliri. La depressione perinatale, sebbene presenti caratteristiche pressoché simili a un episodio depressivo maggiore che esordisce in qualsiasi altro periodo della vita, ha in effetti caratteristiche peculiari. I disturbi del sonno sono descritti per esempio come difficoltà a dormire, anche quando il figlio stesso dorme o altre persone se ne stanno prendendo cura. 

Le madri possono anche piangere molto, avere difficoltà nel prendere decisioni, presentare dolori somatici. La sintomatologia delle donne che soffrono di un episodio depressivo peripartum può essere caratterizzata da emozioni e pensieri negativi  rispetto al ruolo di madre, per esempio la percezione di essere incapaci, o da insicurezza nel prendersi cura del figlio, senso di colpa, preoccupazioni sul benessere o sulla sicurezza del figlio, percezione di isolamento, bassa autostima, sentimenti ambivalenti o negativi verso il figlio e/o pensieri intrusivi rispetto a fare del male al figlio. Tali pensieri hanno un carattere squisitamente ossessivo e raramente vengono agiti anche se procurano grossa sofferenza. L’ideazione suicidaria però può essere presente e può coinvolgere anche il bambino: il suicidio è la causa del 20% dei decessi ed è la seconda causa di morte delle donne nel periodo postnatale. La depressione perinatale è un fenomeno piuttosto comune ed è considerata come uno dei disturbi maggiormente disabilitanti rispetto alla gravidanza.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la depressione è la seconda causa di disabilità per le donne in età fertile (WHO, 2001). Purtroppo i dati epidemiologici sono tuttora falsati dalla consistente percentuale di casi non diagnosticati e non trattati. Le cause della difficoltà di riconoscimento del quadro psicopatologico ricadono sia nella complessità della diagnosi differenziale sia nella reticenza delle famiglie a rivolgersi ai servizi di cura specialistica. Clinici e pazienti possono considerare i sintomi, per esempio le difficoltà nel sonno e la stanchezza, come disagi fisiologici normali e dunque possono sottovalutarne l’importanza: ciò fa sì che i primi non chiedano e i secondi non riferiscano. Le madri inoltre vengono sopraffatte da forti sensi di colpa nell’esperire la sintomatologia depressiva, pressate dalle aspettative sociali che le vogliono soddisfatte e gioiose per il lieto evento, e sono restie a comunicare come si sentono, poiché interpretano queste difficoltà come prova del loro essere madri inadatte e cattive. La percentuale di prevalenza del disturbo è dunque molto variabile. I dati più recenti (Stewart e Vigod, 2019) affermano che la prevalenza varia dal 6,9 al 12,9% nei Paesi sviluppati fino al 20% nei Paesi più poveri. 

La maggior parte degli studi epidemiologici, condotti in diverse parti del mondo, stima che la prevalenza del disturbo sia del 10%-15%. Le cause del disturbo sono ancora oggi sconosciute. Diverse sono le ipotesi vagliate negli anni, ma nessuna ha trovato riscontri consistenti e definitivi nella ricerca empirica. Ciò che si desume dagli sforzi di molti autori è che la psicopatologia dei disturbi dell’umore nella gravidanza e nel postpartum risulti da una complessa interazione di fattori. Anche per la depressione postpartum le ricerche si sono concentrate sull’ipotesi patogenetica secondo cui il disturbo risulta dalla combinazione di fattori fisici, mentali e di vita(Neiman, 2010). Il trattamento dei disturbi psichiatrici, nel periodo che va dalla pianificazione della gravidanza al postpartum, impone un’attenta considerazione dei rischi e dei benefici associati sia alla scelta del trattamento stesso che alla scelta di non trattare la condizione psicopatologica. 

È necessario che le decisioni vengano prese in modo collaborativo, informando la famiglia nel modo più chiaro e accessibile, rispettandone i desideri e valutando la gravità dei sintomi, l’anamnesi psichiatrica e quella familiare. La letteratura internazionale e le linee guida per gli operatori della salute delle donne in gravidanza e nel postpartum raccomandano, oltre alla valutazione fisica, anche la valutazione del benessere psicologico e uno screening attento per la sintomatologia ansiosa e depressiva (Cartabellotta et al., 2015). La prevenzione primaria, ma soprattutto la prevenzione delle situazioni a rischio è sostenuta sia dagli studi che attestano gli elevati tassi di prevalenza dei disturbi perinatali e che definiscono la depressione perinatale come un importante questione di sanità pubblica (Wisner et al., 2006), sia dagli studi che indicano la possibile presenza di persistenza e ricorrenza della sintomatologia (Dipietro et al., 2008). 

Lo stato dell’arte afferma che l’uso della psicoterapia nel periodo perinatale è empiricamente supportata.Molti sono stati gli studi che si sono occupati di verificare l’efficacia dei diversi approcci non-farmacologici, in quanto la psicoterapia è vista come la prima scelta di trattamento dalle donne. Recentemente, Rudlin (2016) ha stilato una lista dei principali approcci terapeutici per la depressione perinatale, questi variano dai farmaci, alle visite domiciliari, ai contatti telefonici, ai counselling individuali, fino alle letture di libri di auto-aiuto. La maggior parte degli studi ha identificato la psicoterapia cognitivo-comportamentale e la psicoterapia interpersonale come i trattamenti non farmacologici più efficaci nella depressione perinatale (Stephens et al., 2016). 

pubblicato su 180gradi.org