autore Luca Boccassi
Cosa è
La cannabis o canapa è una pianta a ciclo annuale la cui altezza varia da 1,5 a 2 metri. La pianta germina in primavera e fiorisce in estate inoltrata, quando le ore di luce diminuiscono. E’ originaria del subcontinente indiano e dell’Asia centro-meridionale. Prevale allo stato selvaggio nelle zone tropicali e temperate. Dalle piante femmine di canapa si producono la marijuana, l’hashish e l’olio di hashish, che hanno effetti sul sistema nervoso centrale, blandamente euforizzanti ed allucinogeni. Il principio attivo è il tetraidrocannabinolo o THC.
Diffusione
La cannabis è la sostanza stupefacente illegale più usata. Secondo le statistiche dell’EMCDDA (Euro- pean Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction) effettuate nell’anno 2011, in Italia il 32% della popolazione tra i 15 ed i 64 anni ha fatto uso di cannabis una tantum nella vita. Il 6,9% della popolazione adulta ha usato cannabis nell’ultimo mese. In Italia il numero dei con- sumatori “nell’ultimo anno” di can- nabis è passata dal 9.2% del 2001 al 20.3% nel 2008 (fonte European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA), dati del 2011).
Preparazione
La Marijuana, etimologia ignota, si ottiene dalle infiorescenze e dalle foglie essiccate della pianta femmina di cannabis. La concentrazione di THC sino a qualche anno fa andava dall’1 al 4%; attraverso il processo di ibridazione di alcune varietà si è riuscito ad ottenere concentrazioni di THC intorno al 35%. L’ hashish, in arabo hasis significa erba, è ottenuto dalla resina di colore bruno essiccata tratta dalle infiorescenze sempre femminili della cannabis. Può contenere, nelle qualità più pregiate, sino al 40% di THC, mentre per quello da strada la percentuale si attesta tra il 7% al 20% circa. L’Olio di hashish è una resina prodotta dalla pianta di cannabis estratta mediante solventi. Il concentrato di THC sia attesta intorno al 60%.
Storia
La cannabis è stata usata in medicina per millenni. Nell’antichità, la Cannabis indica fu considerata utile in numerose e assai diverse malattie. Il Pen Ts’ao, il più antico codice farmaceutico conosciuto attribuito all’imperatore cinese Shen Nung (III millennio a.C.), raccomanda per il trattamento di “disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale”. Intorno al 220 d.C. In India, la Cannabis è citata nell’Atharvaveda (II millen- nio a.C.) come “pianta che libera dall’ansia”, mentre nel più antico testo medico della tradizione Ayurvedica, basato sulla dottrina di Susruta (II millennio a.C.), è citata semplicemente come “rimedio”. In realtà, la Cannabis in India assume un ruolo del tutto particolare: come pianta sacra a Shiva, viene usata in rituali religiosi. In Medio Oriente e l’area mediterranea, le tavolette mediche assire della biblioteca di Assurbanipal (VII sec. a.C.), citano la canapa come antidepressivo. Per Galeno, il più famoso medico della Roma imperiale, le preparazioni di canapa vengono usate per “stimolare il piacere”, ma possono anche servire contro le flatulenze, il mal d’orecchi e il dolore in genere. Usate in eccesso “colpiscono la testa, immettendovi vapori caldi e intossicanti”. Per tutto il Medio Evo e il Rinascimento, l’uso più importante della Cannabis è per ricavar- ne le fibre per corde, tessuti e carta. Garcia da Orta, medico portoghese in India, nel suo “Colloqui sui semplici e sulle droghe dell’India” del 1563 cita l’uso di cannabis come stimolante dell’appetito, come sonnifero, tranquillante, afrodisiaco ed euforizzante. Il suo libro introdusse l’Europa all’uso medico di questa ed droghe. In Europa, Robert Burton nel suo classico “The anatomy of melancholy” (1621) suggerisce la possibile utilità della canapa in quella che oggi chiameremmo “de- pressione”. L’importanza della Cannabis, sempre relativamente marginale nella medicina occidentale, fu decisamente accresciuta a seguito della campagna d’Egitto di Napoleone (1798), dopo la quale l’hashish, inteso essenzialmente come sostanza inebriante ed euforizzante, divenne noto in Francia nei famosi circoli intellettuali. Artisti come Gautier, Dumas, Nerval, Hugo, Delacroix e Baudelaire ne furono consumatori. Lo psichiatra Moreau de Tours lo considera sia uno strumento di indagine della mente, sia un farmaco efficace in varie malattie mentali. Fra il 1840 e il 1900, secondo Walton, furono pubblicati più di 100 articoli sugli usi medici della Cannabis. Nel 1854 la Cannabis viene inclusa per la prima volta fra i farmaci dello U.S. Dispensatory, con le seguenti proprietà: “potente narcotico (…) Si dice che agisca anche come deciso afrodisiaco, che stimoli l’appetito e che occasionalmente induca uno stato di catalessi. (…) produce il sonno, allevia gli spasmi, calma l’irrequietezza nervosa, allevia il dolore. (…) [come analgesico] differisce dall’oppio perché non diminuisce l’appetito, non riduce le secrezioni e non provoca stitichezza. I disturbi per i quali è stata specialmente raccomandata sono le nevralgie, la gotta, il tetano, l’idrofobia, il colera epidemico, le convulsioni, la corea, l’isteria, la depressione mentale, la pazzia, e le emorragie uterine”. A partire dal 1937, l’anno della proibizione americana, diventano assai rari i lavori che prendono in considerazione l’uso medico della Cannabis, ed è solo con la fine degli anni ‘70 che un timido interesse si risveglia e che cominceranno a riapparire studi scientifici sulla Cannabis e i cannabinoidi.
Meccanismi di azione
Sebbene la cannabis venga classificata come sostanza allucinogena e psichedelica, il THC ha un meccanismo d’azione che sembra differire da quello della LSD e di altre sostanze del gruppo; elementi differenziali sono la prevalenza dell’effetto sedativo e la scarsa tolleranza.
Come si usa
Se la sostanza viene fumata gli effetti soggettivi compaiono dopo 20-30 minuti e persistono circa 2-3 ore. In caso di ingestione gli effetti compaiono circa un’ora dopo e possono persistere per 3-6 ore. Il THC viene quasi totalmente biotrasformato ed eliminato con le feci e con le urine, tuttavia i metaboliti urinari sono rintracciabili per diverse settimane dopo una singola assunzione.
Effetti desiderati
Gli effetti della cannabis nell’uomo sono in larga misura variabili secondo la personalità e la condizione psicologica di chi la assume, le dosi, in buona sostanza la via di somministrazione, l’età dell’assuntore, il metabolismo, la contemporanea assunzione di altre sostanze psicotrope. Gli effetti, tuttavia, più comunemente riscontrati ed attesi sono rilassamento, euforia, modificazione delle percezioni sensoriali ed esperienze estatiche, aplificazione dei sensi.
Effetti collaterali
A dosi elevate si possono verificare ansia e stati di panico, disforia, depersonalizzazione, disorientamento spazio/tempo (alterata percezione della profondità), alterata percezione degli stimoli ambientali, alluci- nazioni (dispercezioni uditive e visive), deficit dell’attenzione, difficoltà di concentrazione e apprendimento, riduzione della memoria a breve termine. In soggetti predisposti possono presentarsi stati psicotici acuti di tipo paranoide o schizofreniforme. I segni fisici che possono comparire sono incoordinazione motoria, rallentamento dei riflessi e riduzione dei tempi di reazione, tremori, atassia con andatura barcollante, congestione congiuntivale, vasodilatazione periferica, secchezza delle fauci, nausea, vomito, diarrea, ipotermia, tachicardia e aumento della pressione arteriosa.
Mix
La cannabis potenzia: gli effetti deprimenti sul Sistema Nervoso Centrale dei barbiturici gli effetti eccitanti dell’amfetamina gli effetti eccitanti della caffeina gli effetti gratificanti della cocaina ed allevia la disforia (crash) gli effetti piacevoli soggettivi indotti dall’alcool, gli effetti dell’eroina che rende più intensi e duraturi, gli effetti del metadonediminuendo il rischio di ricadute con gli oppiacei.
Tolleranza, assuefazione, dipendenza, astinenza.
La tolleranza, ovvero la necessità di aumentare le dosi, è scarsa o nulla, e se l’uso viene sospeso, i segni di astinenza sono esclusivamente psichici; non si osservano segni fisici di astinenza come per gli oppioidi. Può indurre, tuttavia, una dipendenza psichica nei forti fumatori cronici.
Overdose
Non sembrano esserci casi di overdose da cannabinoidi nella letteratura scientifica.
Storia del proibizionismo medico La storia della cannabis come farmaco, nonostante le sue interessanti proprietà farmacologiche e le raccomandazioni di molti medici di prim’ordine, si chiuse bruscamente, almeno in America e in Europa, appena prima della seconda guerra mondiale. Negli anni ‘30 infatti, sull’onda della crociata anti-alcool e anti-stupefacenti di inizio ‘900, la Cannabis fu forsennatamente attac- cata da Harry J. Anslinger, il primo responsabile della politica anti-droga degli Stati Uniti, e a seguito di ciò, nel 1937 raggiunse l’oppio e la coca fra le “droghe proibite”, e pochi anni dopo (1941) fu cancellata dalla farmacopea ufficiale americana. Dopo la proibizione negli Stati Uniti, la legislazione e la medicina ufficiale si allinearono rapidamente più o meno in tutto il mondo, e la Cannabis fu praticamente dimenticata da farmacologi e medici. Viceversa, il suo uso “ricreativo” conobbe, a partire dagli anni ‘60, una diffusione senza precedenti, soprattutto tra i giovani. Il risultato di questo peculiare processo storico è che tanto si è scritto sui veri o presunti rischi e danni della cannabis, mentre gli studi sui suoi possibili usi terapeutici sono pochissimi. Nel 1973, lo psichiatra Mikuriya pubblicò un libro dedicato agli usi medici della cannabis. Grazie all’attivismo di alcuni cittadini ed al sostegno di pochi ma autorevoli scienziati, dal 1985 si cominciò a commercializzare un cannabinoide di sintesi, il dronabinol (tetraidrocannabinolo sintetico formulato in capsule per uso orale), a cui si aggiungerà più tardi, in Gran Bretagna, l’equivalente nabilone. Nacquero in seguito i primi movimenti di pazienti per la legalizzazione degli usi medici della cannabis, movimenti che peraltro si ponevano automaticamente fuorilegge e che furono in ogni modo osteggiati. Dagli anni ‘90, tuttavia, numerosi e ben documentati lavori scientifici fornirono un valido supporto a queste associazioni impegnate per la riconquista del diritto alla “marijuana come medicina”, e certamente contribuirono a cambiare l’atteggiamento della collettività nei confronti dell’uso medico di questa sostanza. Attualmente, numerose ricerche sono in corso, non solo per lo studio dei vari principi farmacologicamente attivi contenuti nella Cannabis, ma anche per lo sviluppo di derivati sintetici e per la ricerca di nuove formulazioni (aerosol, cerotti transdermici, spray sublinguali, supposte, ecc.) che non rendano necessario il ricorso all’assunzione orale o al “fumo”. E a questo proposito è opportuno anche ricordare che, pur riconoscendo la necessità di ulteriori ricerche tossicologiche, non si può trascurare il dato empirico della scarsissima tossicità acuta e cronica della Cannabis. (estratti dal Libro Bianco sugli usi terapeutici della cannabis, Fuoriluogo quaderno 8)
Possibili usi terapeutici
Secondo le parole di Lester Grinspoon (Università di Harvard), “il potenziale medico di una sostanza come la cannabis non potrà essere riconosciuto appieno sino a quando ne sarà vietato l’uso per altri scopi”. Una ricerca effettuata in Germania (Schnelle et al., 1999) ha dimostrato che la Cannabis viene correntemente usata con successo per curare, tra l’altro, la sclerosi multipla, parte della sintomatologia collegata all’infezione da HIV, l’emicrania, l’asma, il glaucoma e i dolori da lesione della colonna, sia per via orale che per inalazione. Il 30 gennaio 1997, Jerome P. Kassirer scrisse sul New England Journal of Medicine: “Gli stadi avanzati di molte malattie e i loro trattamenti sono spesso accompagnati da nausea, vomito o dolore intrattabili. Migliaia di pazienti affetti da cancro, AIDS e altre malattie riferiscono di aver ottenuto notevole sollievo da tali sintomi devastanti fumando marijuana. (…) Io credo che una politica federale che proibisce ai medici di alleviare le sofferenze prescrivendo marijuana a pazienti seriamente ammalati è male impostata, impositiva e inumana. Non vi è rischio di morte fumando marijuana. Domandare le prove di un’efficacia terapeutica è ipocrita. Le sensazioni nocive provate da questi pazienti sono estremamente difficili da quantificare in esperimenti controllati. Ciò che realmente conta in una terapia dotata di un così alto margine di sicurezza è se un paziente gravemente ammalato prova sollievo come risultato dell’intervento, non se uno studio controllato ne “dimostra” l’efficacia”. Allo stato attuale delle conoscenze la cannabis e i cannabinoidi potrebbero avere molteplici applicazioni terapeutiche. Alcune di queste, tra cui ad esempio l’uso quale antinausea nei pazienti in chemioterapia ovvero la stimolazione dell’appetito nei pazienti con AIDS, sono state convalidate da studi clinici controllati. Per altre, quali la terapia della spasticità muscolare nella sclerosi multipla e nei traumi midollari, o il trattamento di varie forme di dolore cronico, esistono evidenze preliminari significative. Infine, per altre ancora, tra cui il trattamento del glaucoma, la prevenzione delle convulsioni epilettiche o la terapia della depressione, esistono per ora solo esperienze di pazienti, talora confortate da piccoli studi non controllati.
Fonti:
Libro Bianco sugli usi terapeutici della cannabis, Fuoriluogo quader- no8
Dott. Michele Pellegrino, Materiale di studio ad uso dell’Unità di Strada Tiburtina
Dott. Michele Pellegrino, Comuni- cazioni personali
Orietta Mariotti, Droghe e lavoro
pubblicato su 180gradi.org